Quando un viaggio in Giappone era come andare sulla luna
Scopri i colori della primavera del Sol Levante e la meraviglia dei ciliegi in fiore, andremo anche al di fuori delle solite rotte turistiche a scoprire il vero cuore del Giappone!
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- Scritto da dani@viaggiappone.com
Quando il Giappone si aprì all'occidente
La storia del Giappone è diversa da quella di molti paesi anche asiatici ed è stata dettata spesso da un isolazionismo che l'ha preservato incontaminato fino al XIX secolo. Da quel momento i suoi regnanti, per non vedere la loro nazione conquistata dalle potenze occidentali in piena espansione coloniale, si aprono alla cultura ed alle tecniche provenienti dall'occidente. Danno, così, il via ad una modernizzazione forzata del Giappone e lo trasformano in uno stato non assoggettabile, con cui si sarebbe dovuto avere a che fare da un punto di vista commerciale e diplomatico.
E' così che, dalla seconda metà dell'ottocento, tra i tanti europei che attraversano l'Asia seguendo il business della seta, delle lacche o semplicemente in cerca di fortuna, alcuni Italiani volgono la propria attenzione al Paese del Sol Levante.
In questo mio post voglio raccontare di due Italiani molto diversi, che hanno in comune l' aver fatto il giro del mondo, anche se a distanza di una ventina di anni, e l'essere rimasti entrambi incantati dal Giappone, al punto di lasciarci delle splendide testimonianze su questa nazione.
Viaggio attorno al mondo e prima missione diplomatica italiana in Giappone
Il primo di questi personaggi è Enrico Hillier Giglioli, un naturalista che, nato a Londra da padre italiano, mazziniano in esilio, e madre inglese, una volta giunto in Italia, giovanissimo è potuto rientrare nella capitale inglese con una borsa di studio e qui è rimasto affascinato dalla figura di Darwin.
Il destino farà sì che, poi, venisse scelto, grazie alla sua ottima conoscenza dell'inglese e alle sue caratteristiche, per unirsi al seguito del direttore del Museo di zoologia dell'università di Torino in un viaggio attorno al mondo che parte nel febbraio 1866 da Montevideo in Uruguay.
Una nave italiana, la pirocorvetta Magenta, solcherà così gli oceani a sud di Capo di Buona Speranza e dell'India fino a toccare le coste dell'Indocina, dell'Indonesia, della Cina e fermarsi in Giappone. Da qui, il naturalista, seguendo le orme di Darwin, tornerà a Montevideo, per poi, solcato l'Atlantico, sbarcare a Napoli dopo due anni di avventure.
Hillier Giglioli intraprese questo viaggio con due scopi precisi: raccogliere documentazioni naturalistico-scientifiche e dare il via a rapporti diplomatico-commerciali con il Giappone che si stava aprendo agli occidentali.
Il naturalista, che poi diventerà professore di zoologia all'università di Firenze, scriverà un suo diario sull'esperienza da cui, anche per l'interessamento del grande antropologo Fosco Maraini è stato da poco ricavato un volume dal titolo “Giappone perduto” con il resoconto dei mesi passati nella rada di Tokyo.
Il libro, che consiglio a tutti quelli che sono stati in viaggio in Giappone e che hanno letto qualche nota storica del periodo, è un'incredibile testimonianza di come fosse questo stato negli ultimi anni del dominio shogunale, una testimonianza riportata da uno scienziato che, senza nessun atteggiamento di supremazia coloniale, ci fa conoscere gli usi ed i costumi giapponesi.
Lo scrittore descrive le imbarcazioni nipponiche o le dimore giapponesi, così diverse e così incredibilmente vuote agli occhi di un italiano, o ancora la superiorità del popolo asiatico nella lavorazione della carta con cui si faceva di tutto, dagli antenati dei kleeneks agli impermeabili, delle lacche a particolari lame.
Bellissimo è sopratutto ritrovare immutati i lati caratteriali del popolo nipponico e confrontare il nostro sguardo di viaggiatori moderni con quello dei nostri antenati rivelando identico stupore nei confronti della cerimoniosa, ma autentica gentilezza e dolcezza delle donne e della fierezza degli uomini.
Nel volume si descrive, inoltre, l'innata perizia e precisione che caratterizza il popolo nipponico nel realizzare tutte le opere, anche le più semplici, ma anche la dedizione che i giapponesi mettono in quello che fanno, dal forgiare una spada all'impacchettare un regalo.
Interessantissime sono infine le pagine in cui si raccontano i contatti con le delegazioni shogunali e la loro gentile fierezza, una testimonianza incredibile, su come erano apparse al viaggiatore, nel 1866, le città di Edo, Kamakura e Yokohama, allora neonato porto per i commerci con l'estero da affiancare a Nagasaki.
Nobili viaggiatori fanno shopping nel Giappone di fine '800
L'altro viaggiatore, di cui voglio parlare, è un nobiluomo italiano, Enrico Borbone, figlio dell'ultimo dei duchi di Modena e conte di Bardi che, in viaggio con la moglie, figlia del re del Portogallo, è andato a “fare shopping” nel Paese del Sol Levante con lo scopo di riarredare la casa della nonna, il palazzo Vendramin sul canal grande di Venezia, oggi sede del casinò.
La nobile coppia si imbarca, con altri gentiluomini al seguito, per un viaggio che li vedrà circumnavigare il globo con una particolare attenzione per il sud est asiatico, la Cina e il Giappone.
I blasonati viaggiatori giungono nel Paese del sol levante 20 anni dopo Giglioli e qui trovano uno stato ormai indirizzato verso l'inarrestabile modernizzazione tecnico-sociale seguita alle guerre interne che avevano portato alla fine del medioevo nipponico.
I due Borboni faranno in Giappone sfrenati acquisti, spinti dalla bellezza dell'artigianato nipponico e dal fatto che spade, armature e quant'altro fosse a testimonianza del passato feudale giapponese veniva venduto a poco prezzo e, a volte, svenduto.
Il principe si infervora nei confronti di questa cultura , pare apprezzare il lato guerriero del popolo nipponico e rimane incantato dalla bravura e perizia nel lavorare l'acciaio e le lacche che lo portano all'acquisto di circa 30.000 pezzi che arriveranno poi a Venezia.
I segretari che seguivano la coppia principesca narrano dell'affannarsi nel saldare i conti e della preoccupazione che finissero i soldi a disposizione.
Il museo d'arte orientale a Venezia
La grande collezione di armi, lacche, vasellame, stampe, pitture, alcune anche di importantissimi nomi come ad esempio il ben noto Hokusai, arricchirono il palazzo del conte di Bard a Venezia e subito furono poste in allestimento museale per essere ammirate dal pubblico.
Sarà così che, complice la biennale d'arte che nasce appunto nel 1895, questa collezione diventerà ulteriore ispirazione per quel movimento giapponista che già tanto aveva attinto dal Paese del Sol Levante nel 1889 quando ci fu l'esposizione universale di Parigi, quella famosa per la tour Effeil.
La collezione rischiò di lasciare in toto il nostro paese visto che non si riusciva a ricollocarla dopo la morte del Borbone, essendo palazzo Vendramin divenuto proprietà dello Stato italiano e quindi sede del Casinò.
Fu così che pur diminuita di molti pezzi la collezione su allestita in uno spazio museale nel 1928, al terzo piano della Cà Pesaro sempre sul Canal Grande e a sua volta anche sede della collezione di arte moderna della città di Venezia.
Con Yumichan, ho visitato il museo d'arte orientale qualche anno fa ed entrambi siamo rimasti incantati e stupiti per la grande quantità di oggetti acquistata da Enrico III di Borbone, per le centinaia di katana, naginata, kodachi, per le armature, le maschere, le lacche e le stampe, che purtroppo dobbiamo illustravi solo con le parole, essendoci stato vietato di scattare foto anche senza flash e non esistendo nemmeno un catalogo o una cartolina …ma, se andrete a Venezia ed amate il Paese del Sol Levante, non perdete una visita a questa straordinaria collezione.
Viaggia con noi alla scoperta del Giappone per primavera!
Un viaggio tra le origini del Giappone ed il futuro!