Giappone tra oriente ed occidente

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Primo impatto col Giappone

Italiani a Narita

La prima impressione che ebbi quando atterrammo coi miei amici più cari in Giappone, per la prima volta nel 2010, fu quella di essere arrivato in un grande paese ricco ed evoluto e che il mio viaggiare per 12 ore verso est mi avesse comunque fatto sbarcare in occidente, se non fosse stato, infatti, per le scritte nulla mi avrebbe fatto capire dove fossi, potevo essere a Londra o a Parigi, ma sicuramente non a Roma o al Cairo.
In tal modo da arrivare a capire, in modo definitivo, perché alcuni anni addietro (era il 2004), in quella che fu denominata la seconda guerra contro l'Iraq, quando fu rapito e poi ucciso un ragazzo giapponese, in quel paese non ricordo bene per quale motivo, i cronisti non esitassero a definirlo la prima vittima civile occidentale in quel frangente.
Ancora non conoscevo il Giappone, se non dai racconti dell'allora mia fidanzata e da qualche lettura, ma avevo sospettato che questo lontano paese fosse in oriente come geografia soltanto, posto come era tra le fila del così detto occidente; poi quando, sempre in quell'occasione a Narita aspettavamo il volo che ci avrebbe portato a Fukuoka da Yumichan che ci aveva preceduto di un paio di settimane, io ed il mio amico ci avvicinammo al bar del gate affamati nel lungo viaggiare ci accorgemmo che eravamo ben lontani dal mondo conosciuto e ci facemmo dei noodles speziati e ben lontani dalle nostre papille occidentali e mi sentii, allora, in un contesto molto differente dalla vecchia Europa.

Sol levante tra aperture e chiusure

Imperatore Meii, in abiti occidentali

Il Giappone ha una storia di chiusure ed aperture verso l'esterno e fin da quando ha iniziato a suggere come un infante dalla grande e vicina Cina le arti, la scrittura, la filosofia, la religione ha sentito, poi, il bisogno di fermarsi, chiudere i battenti, digerire quanto appreso e giapponesizzare, fu così che quando nel XVI secolo ci si accorse, con l'arrivo dei missionari cattolici, che l'equilibrio costituito poteva andare perso, il Giappone decise per una chiusura definitiva dei battenti al mondo instaurando il sakoku (paese incatenato) e si regalò un paio di secoli di oblio, se non per i contatti che manteneva col contagocce con Olandesi e Cinesi a Nagasaki, considerando, addirittura, come un bandito o un untore chiunque entrasse o uscisse dal Paese del Sol levante.
Il Giappone è un particolare Paese il cui popolo, applicando le regole del neo-confucianesimo, si comportava, ed in parte lo fa ancora, come un unico organismo ove l'individualismo era visto come una stranezza (il contrario dell'umanesimo e dell'illuminismo che mettono l'individuo al centro del tutto) e fu così che quando un gruppo di notabili si accorse nel XIX secolo che se non si riponevano le katana, per imbracciare i moschetti, il Paese del sol levante rischiava di di venir colonizzato dai così detti occidentali, che nel frattempo avevano portato oltre le loro conoscenze tecnologiche e sempre più si affacciavano a turbare l'equilibrio del lontano arcipelago; fu così, quindi, che ci si decise, per non essere inevitabilmente invasi, di colmare nel minore tempo possibile il divario e si iniziò una rincorsa che avrebbe portato il Giappone in occidente.
Si misero, pian piano, da parte i vestiti tradizionali e si studiò il "nemico" e si arrivò a superarlo e a sostituirlo, tanto che nei primi cinquanta anni del XX secolo il Giappone da paese a rischio di essere colonizzato divenne un paese imperialista e a sua volta colonizzatore, fino a sedere al tavolo con le così dette potenze ed imparare a giocare a baseball.

Il Giappone un paese che esiste a prescindere dal resto

Fushimi-Inari, Kyoto

Tutta la letteratura della prima metà del secolo scorso, la grande produzione che va da Natsume Soseki ad Akutagawa Ryunosuke e poi a Abe Kobo, Dazai Osamu, Kawabata Yasunari fino a Mishima Yukio va, infatti, incredibilmente di pari passo con i grandi movimenti letterari europei e mondiali, e contemporaneamente ha come tematica principale il dissidio interiore dato dal vedere la fine del Giappone tradizionale sotto la forzata occidentalizzazione.
Occidentalizzazione che è poi, dopo la seconda guerra mondiale, diventata di sicuro americanizzazione e poi col velocizzarsi delle reti di comunicazione e di trasporti globalizzazione. Detto questo, però, dopo cinque viaggi nel Paese del sol levante da Europeo ed Italiano mi sento di dire che il Giappone ha mantenuto, comunque una sua forte ed orgogliosa identità che lo differenzia da tutto il resto ed è così che quando sono là, anche per diverse settimane, mi rendo conto che il Giappone è ancora per tanti versi un microcosmo che vive a prescindere da tutto il resto, dove al telegiornale prima si parla sempre di Giappone e poi se avanza tempo del resto, in un mese vi può capitare di vedere due volte Obama al TG e mai il Papa, forse una volta la Merkel, ma no di sicuro il premier italiano di turno, se non in qualche trafiletto di giornale.

Difficili compromessi tra mondo e Giappone all'epoca della globalizzazione

Tenjin, Fukuoka, Giappone

Un paese orgoglioso dei suoi artigiani che riproducono fedelmente la tradizione delle arti e che insegue i suoi sapori attraverso la stagionalità dei piatti e la localizzazione delle specialità, ma dove troverete tutte le catene di fast food statunitensi, un paese che ha fatto proprio il Natale trasformandolo in un giorno per le coppie di innamorati e dove ancora sembra albergare, negli occhi degli adulti, lo stupore al fiorire dei ciliegi ad ogni primavera...
Aperture e chiusure, dicevo all'inizio, ed infatti ho la sensazione che il Giappone ancor oggi si apra a malincuore all'esterno e poi si richiuda in sè e così dalla moda del viaggiare e conoscere il mondo, adesso, complice la crisi e l'instabilità economica, si è arrivati a che molti ragazzi nipponici ripongano le normali ambizioni di conoscenza e si rintanino nel loro Paese.
E' proprio di questi giorni l'apertura del Giappone verso ad un immigrazione che sia forza lavoro per alcuni appuntamenti come le olimpiadi del 2020 di Tokyo, e la conseguente paura di alcuni che l'ingresso di diversità possa distruggere gli equilibri del Sol levante, timori che fortunatamente vengono annacquati da una crescete voglia di essere comunque parte del mondo che caratterizza la maggioranza dei cittadini dell'impero del crisantemo.
E noi in Italia? Siamo globalizzati? Americanizzati? Abbiamo ancora delle identità nostre? Abbiamo mantenuto di più o di meno? Oppure il nostro immaginario collettivo è ormai mutato, in una rincorsa che ci vede sempre venti anni indietro alle nostre serie televisive preferite?

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