Il Giappone ed il lavoro
Scopri i colori della primavera del Sol Levante e la meraviglia dei ciliegi in fiore, andremo anche al di fuori delle solite rotte turistiche a scoprire il vero cuore del Giappone!
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- Scritto da dani@viaggiappone.com
Premessa.
Quest'articolo nasce da una curiosità di mio padre, che mi spronò a parlare dell'abnegazione che hanno i Giapponesi nel lavoro; dopo averlo scritto glielo feci rileggere e così ebbe modo di suggerirmi un paio di correzioni sintattiche, da bravo professore di lettere in pensione e dirsi interessato per quanto aveva letto; dopo poche ore, per un aggravarsi di una brutta malattia, se ne è andato. Oggi dopo circa due settimane (agosto 2014) sento il dovere di pubblicare questo post e di dedicarlo a lui.
Lavoro come motore del Paese del sol Levante
Quando pensiamo ai Giapponesi, oltre ai Samurai ed al sushi, probabilmente molti di noi credono anche ad infaticabili lavoratori, forza e motore dell'economia del Sol levante e, se tante cose che si dicono su questo lontano paese sono dei luoghi comuni, questa è, invece, un'indiscutibile verità.
Già all'origine, l'approccio col lavoro pare essere differente tra i paesi occidentali e quelli asiatici; se infatti a noi Dio ha detto che avremmo lavorato con dolore e sudore per guadagnare il pane da mangiare, in oriente il saggio Confucio diceva che se uno sceglie il lavoro che ama, in pratica non lavorerà mai, neanche per un giorno in tutta la sua vita. Se questo è detto per sorridere un po' è senz'altro vero che in Giappone il lavoro non è visto come una costrizione, ma come un dovere, a cui, come spesso mi ricorda la nostra Yumiko, non ci si può sottrarre pena non essere un vero Giapponese.
Il lavoro è, infatti, per un Giapponese oltre al mezzo per sostentarsi un dovere sociale e un legame generazionale in un mondo ove ciascuno ha il suo ruolo preciso che serve a far marciare l'ingranaggio sociale. E' per questo che l'azienda prende in un certo senso il posto della famiglia ed il singolo subisce la pressione del gruppo; pensate infatti che per non arrecare disturbo ai colleghi molti riducono all'osso i giorni di ferie consecutivi e tutti sono davvero oculati nel prendere anche un solo permesso di malattia...
E' per questo motivo che vediamo i gruppi di Giapponesi fare il giro d'Italia in 7 giorni, perchè quasi nessuno ha più di una settimana di ferie consecutiva, per non pesare con un'assenza prolungata sui colleghi e sulla ditta e non perchè siano piccoli robot dai ritmi forsennati anche nel corso delle vacanze...
Il bravo Giapponese lavora sodo per la sua azienda e per il suo paese e poi per sé
Quando ero bimbo e i Giapponesi arrivarono in Europa, prima con gli orologi Casio e poi con le automobili, il Paese del sol levante era visto come una nazione inarrestabile e dalla forza produttiva infaticabile, con eserciti di operai, nella nostra immaginazione quasi automatizzati e il fatto che non si scioperasse e che le forze sindacali non riuscissero a prendere campo come da noi con le loro proteste era visto come fenomeno strano ed inconcepibile, tanto che, sull'argomento, venivano girati documentari in cui i nostri giapponesi erano spesso paragonati a formichine lavoratrici...
Il motivo fondamentale di questa differenza, ripensandoci, sta appunto nelle radici sociali che hanno visto un occidente cristiano guidato dal libero arbitrio cattolico o dalla predestinazione protestante sempre comunque riguardante il singolo, così da portarlo al massimo dell'individualismo che sarà poi incanalato nell'ateismo illuminista e nella rivoluzione francese, oltre che allo sconvolgimento dell'ordine sociale mentre in un oriente confuciano e buddista si fondava su una coscienza di villaggio e sulla forza della collettività.
Il successo della società per la quale si lavora è motivo di orgoglio personale in Giappone al punto tale che le ore di straordinario fatte oltre le canoniche otto giornaliere non sono quasi mai pagate (impensabile in occidente) e il lavoro si sostituisce alla vita sociale ed alla famiglia.
Il lavoratore giapponese deve essere spesso pronto per le esigenze della ditta, anche se aveva altri impegni, come è accaduto ad un signore che lavorava per una nota azienda, al quale erano state richieste 5 ore di straordinario quando mancavano 15 minuti alla fine del suo orario di lavoro, al che è seguito un rifiuto per impegni inderogabili già presi nella vita non lavorativa. Ciò non ostante il nostro lavoratore si è presentato all'alba in ditta ed ha fatto quanto chiesto il giorno prima dai suoi superiori prima dell'inizio dell'orario lavorativo, ma ciò non è stato sufficiente. Questo tentativo di individualismo è stata punito col licenziamento e nulla hanno potuto le vertenze sindacali che si sono viste rispondere picche dalla Corte suprema, che pare, leggendo vari casi, essere è spesso pronta a sorreggere le aziende e a non sconvolgere l'ordine sociale a danno dei diritti individuali.
Morire di lavoro in Giappone: karoshi
Yumichan mi raccontava di quando lavorava come impiegata in banca, di come le sue giornate iniziassero all'alba prendendo i mezzi pubblici e di come uscisse spesso dopo le 22 dall'ufficio, al punto che ogni tanto valeva infilarsi in un cinema di quelli aperti 24/24 e dormire là per poi tornare in ufficio il giorno dopo. Quello che ho appena detto è normalissimo in Giappone, tanto che se entrate in un konbini assieme a riviste, bevande e cibarie è facile trovare tutto il necessario per risistemarsi e rientrare in ufficio, a partire dalle camicie immacolate, al set da bagno e trucco...
Il lavoro è tanto importante per i Giapponesi che, anche quando vanno in pensione, poi ricominciano a lavorare in attività che per un occidentale hanno orari da part-time, durante le quali possono continuare ad essere utili alla società; così mio suocero, dopo aver lavorato per tutta la vita, dopo un breve periodo di pensione, è stato reclutato dal comune di Fukuoka per le sue abilità nel gestire i fogli di excel, prima con attività gestionali ed ora come orientatone per i sovvenzionamenti destinati alle piccole aziende.
Questa grande dedizione al lavoro è spesso condizionata dalle esigenze aziendali che hanno visto, sopratutto nelle varie crisi che si sono succedute negli ultimi 20 anni, da cui il Giappone è da poco uscito, fare tagli ai posti, ma non alla produzione, creando, così, gravi episodi di super lavoro che hanno portato alla morte, fenomeno che in giapponese si dice karoshi ed è una parola tabù, una di quelle che non si devono dire, perchè, sì esistono, ma è meglio non affrontare, in quanto potrebbe turbare la pace collettiva.
Pensate che purtroppo siamo arrivati a contare 9000 casi all'anno di karoshi, cioè di persone che muoiono a causa del troppo lavoro, che si suicidano non per insuccessi o fallimenti, ma proprio perchè hanno lavorato troppe ore consecutive...
I Giapponesi lavorano quindi davvero tanto e non si tolgono mai il sorriso dalle labbra se stanno al pubblico, ma la maggior parte di loro è davvero felice di essere parte di un qualcosa che funziona bene ed è fiero di dare forza al suo Paese.
Yumichan mi racconta a tal proposito che la grande banca dove lavorava pubblicava mensilmente una sua rivista interna che riportava, nelle ultime pagine, sempre il triste elenco di colleghi defunti, morti intorno ai 40 anni per infarto o altre malattie legate allo stress e di come lei ed i colleghi guardandosi negli occhi si domandassero se sarebbe poi magari un giorno toccato anche loro...
La mia Yumiko, adesso, lavora tanto anche qui in Italia ed ha avuto tanti successi grazie alla sua forza di volontà, ma ha assunto ritmi sicuramente più mediterrane con pisolino pomeridiano compreso.
Certamente, se mai andrò a vivere in Giappone, come spesso ultimamente penso, non potrei entrare in un simile ingranaggio e qualunque cosa facessi dovrebbe essere calibrato sul mio essere uno straniero strano, un gaijin.
Viaggia con noi alla scoperta del Giappone per primavera!
Un viaggio tra le origini del Giappone ed il futuro!